La camicia bianca - Racconto

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Crediti: Jackie

Una camicia bianca sporca tra le braccia, lo sguardo fisso su un muro che puzzava, ora appesantito da schizzi di sangue fresco, di un rosso viscerale, di una densità che, a paragone, era simile ai colori ad olio di mio padre, così preziosamente conservati nella loro scatola di legno. Le porte allora si chiudevano in fretta, le urla si strozzavano tra cuscini e lenzuola di cotone, i miei occhi in grosse mani dai pugni stretti, colpire, colpire, senza controllo un corpo che mai sarebbe riuscito ad opporsi, nè pregando o imprecando. Una notte rimasi sola con quella camicia, lui comparve per ultimo, sentii il suo passo avvicinarsi, solo un ombra dalle mani pesanti a cui io non risposi. Mi alzai e andai in cucina. Era seduto di fronte al tavolo, con la testa tra le mani, lo vidi piangere, sfregarsi più volte le mani sulla fronte, digrignare i denti, guardarsi intorno come se non riconoscesse nulla, poi me, guardò me con quella camicia sporca di sangue in mano. Chiuse gli occhi, poggiò la testa sul tavolo e senza voltarsi mi allungò il suo braccio, io lo afferrai "se non riesci a dormire pensa al mare", mi disse."Pensa a quanto è profondo e dormi".
Da quella notte ogni volta che mio padre picchiava le sue donne, io correvo sulla spiaggia, superavo la distesa di sabbia bagnata, oltrepassavo la scogliera e ritrovavo serenità.
Bassa marea: io raccolgo conchiglie.
Alta marea: lui in lontananza che mi chiama e mi porta a casa.
Gli anni trascorsero, e mio padre non ebbe più il tempo per uscire in mare, vendette la sua barca e passò tutto il tempo tra caldaie roventi e amplessi veloci.
Mia madre intanto aveva smesso di aspettarlo, solitamente metteva su un disco di musica classica, si sedeva sul divano e mi accarezzava la testa a lungo, insieme, osservando i colori che i piccoli cristalli del lampadario andavano diffondendo.
Tra questi colori si formò confusa l'idea dell'amore. I rapporti intorno a me erano talmente caotici che arrivai a pensare che zio Gino era il marito di zia Clara, ma in realtà questo non poteva essere perchè entrambi erano sorella e fratello, o che mio cugino si sarebbe presto sposato con mia sorella, insomma, non avevo la benchè minima idea di come si fossero costituiti i miei legami di parentela, presto anch'io mi innamorai, mi innamorai del mio mare.
Mio padre mi spiegò, forse troppo tardi, che non potevo pensarlo come un uomo, perchè il mare non genera figli se non quelli che costretti dalla fame, vi costruiscono esistenze su fragili imbarcazioni e grandi reti. I ragazzi con cui uscivo lo sapevano e spesso mi accompagnavano, mi lasciavano qualche sigaretta e borbottando strane parole in dialetto, si rigettavano nelle loro macchine e andavano via. Lì continuavo ad amare, mi ritrovavo a guardarlo con occhi diversi, con occhi di donna che desiderava un piacere diverso, che avrebbe voluto anche solo per un attimo che le sue acque applaudissero lo scintillare dei nomi, importanti nomi... i nostri, che portassero via ciò che di brutto mi girava intorno: i sentimenti di chi andava a puttane, le costruzioni scure edificate da Mussolini in lontananza, gli sguardi di coloro che con le loro donne vicino continuavano ad accarezzarmi e a dirmi di pensarli come zii, cugini e padri.
Adesso il mio è un sentire senza dirsi menzogne, una verità che raddrizza la spalla, qualcosa di simile all'incanto che continua a sussurrarmi un'antica storia dall'odore penetrante, già sentito... ma dove? Il vento caldo sotto la gonna fa sorridere mentre le mani non sanno dove andare, allora guardo, punto dritto senza remore, scavo negli occhi fino a trovare l'anima, ed a quel punto, amo...
Un amore che farà tremare ma non sarà finzione, con gli occhi chiusi ed il sorriso in ginocchio,
con l'anima sempre a giocarsi il suo santo letto vuoto,
e la carezza di un disegno.
Il giorno sarà solo un equivoco scalzo e nudo sulle ceneri ardenti, mentre mi spazzolerò i capelli con l’arte della dimenticanza,
e ad ogni colpo,
sarò tutto quello che vorrei essere,
tornando io.
Adesso, spara amore, che io faccio finta di morire.

Info autore

Scritto da Miriam Carnimeo, febbraio 2010
Il racconto appartiene alla sua legittima proprietaria, ed è stato pubblicato su Shiningarden per gentile concessione dell'autrice.
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